“Beppe – scrive Franco Basaglia nell’inedita prefazione al libro – ha voluto raccontarci delle storie come le ha vissute da psichiatra che fortunatamente non capiva cosa volesse dire essere psichiatra”.
Da quelle storie prende vita una grande e unica testimonianza, mai sentita prima. Ed ecco che Non ho l’arma che uccide il leone diventa un classico di quell’attimo fuggente e magico in cui viene scritto un pezzo di storia, dopo il quale niente sarà più come prima.
Presentazione inedita di Franco Basaglia
Illustrazioni di Ugo Guarino
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Peppe Dell’Acqua, arriva a Trieste nel 1971 per lavorare fianco a fianco di Franco Basaglia. Quel Basaglia che negli anni Settanta - come ci racconta Kenka Lecovich nel suo contributo al libro – prima a Gorizia e poi a Trieste “inizia a scardinare i cancelli della psichiatria, a liberare – una a una – le persone che vi sono rinchiuse, a cancellare per sempre dai corpi e dalle menti il duplice marchio del “pericolo” e dello “scandalo” che leggi, usanze e costumi conferivano alla follia e ai folli.
Il libro scritto alla fine degli anni Settanta quando Dell’Acqua aveva trentatré anni, e uscito per la prima volta nella primavera del 1980 (con una seconda riedizione rivisitata e di molto ampliata nel 2007) ci restituisce un passaggio epocale, attraverso le storie delle persone e del decennio basagliano.
Con la presentazione inedita di Franco Basaglia, la prefazione di Pier Aldo Rovatti e le illustrazioni di Ugo Guarino, il libro si compone di due parti. Nella prima le storie delle persone che assistono stupite all’impensabile apertura delle porte e a margine dei racconti, un appunto restituisce al lettore emozioni, nostalgie, memorie, riflessioni che vogliono rendere ragione di alcune circostanze in cui quegli eventi sono accaduti. Oltre cento i protagonisti di questa storia, narrata in modi e con spessore diverso, da una posizione completamente soggettiva.
La seconda parte si compone di una narrazione, quasi una cronologia dei 10 anni che come dice Dell’Acqua “sconvolsero la mia vita, e non solo la mia”. Un racconto fitto che si rivela necessario per una più ampia comprensione di tutta la vera storia: materiali di cronaca – appunti e documenti – aggiunti a partire dall’edizione del 2007, sapientemente intessuti in una fitta tela a testimonianza di quegli anni cruciali.
La “vera storia” di San Giovanni – suggerisce Rovatti – passa certo per gli eventi sociali e politici che ne dettano la cronologia, ma questi eventi ci scivolerebbero di mano se non venissero continuamente innervati dalla “favolosità” delle storie individuali e dalla gaia follia che le sostiene.