Questo libro dispiega quel che un vasto gruppo di persone ha in parte fatto in parte tentato di fare, lavorando a Trieste dapprima con Franco Basaglia e poi per altri trent’anni dopo la sua morte.
Il testo si presenta sotto forma di almanacco testo-immagini, cronistorie in buona parte a colori.
Attorno alla questione dei manicomi e via via dei servizi che vennero allestiti per superarlo, cresce poi questa esperienza dentro il più generale sistema sanitario della città.
Tuttora viva e ampia la sua risonanza internazionale, si vuol qui fissarne una parte di memoria, convinti della sua attualità.
Nonostante volute e dovute pedanterie (su nomi ed episodi) e mai asettiche puntigliosità, piacerebbe immaginare che questa storia sia di qualche suggestione ai più giovani. Stimolo a intraprendere, voglia di creare collettivi di azione, capaci di dar senso a una vita, a tante vite attorno a quelle allusioni a “uguaglianza, libertà e fraternità” cui resta ancorato quanto qui ricordato.
Citato qui, Enzo Paci sottolineava (1968) con la matita rossa: “La contraddizione tra istituzioni chiuse e istituzioni aperte è forse la dialettica fondamentale della nostra epoca.”
Ne siamo stati persuasi assertori, siamo tutt’ora convinti che la questione sia quella e di questo tenta di dar conto questo libro.
Si cerca qui di raccontare ragionando, partendo dalla psichiatria, attorno a pratiche etiche, ad attenzioni estetiche riconoscibili, ricche di voglia di una democrazia profonda.
Sorta di Diario di lavoro di un gruppo che è stato comunque insieme per 40 anni.
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