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Il viaggio di Marco Cavallo recensito su Mymovies

 

IL VIAGGIO DI MARCO CAVALLO

film di Erika Rossi e Giuseppe Tedeschi




Recensione Mymovies
di Raffaella Giancristofaro

Un tema ai margini dell'agenda politica, per ricordare il lungo cammino verso la richiesta di soluzioni alternative a ricovero coatto e terapia obbligatoria.

Regia di Erika Rossi, Giuseppe Tedeschi.
Genere Drammatico, produzione Italia, 2014. Durata 51 minuti circa.

Dall'istituzione del codice Rocco (1930), se un imputato di reato risulta incapace di intendere e volere ed è dichiarato "socialmente pericoloso" in base a una perizia psichiatrica, viene internato in un OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) senza che ci sia un limite massimo di permanenza. A seguito della denuncia, nel 2011, di una commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni degli internati negli OPG d'Italia, il comitato Stop OPG, in concerto con numerose associazioni e istituzioni, ha organizzato una campagna molto particolare: portare all'interno dei 6 "manicomi criminali" ancora aperti sul territorio nazionale "Marco Cavallo" (1973), scultura in legno e cartapesta frutto del lavoro di artisti e dell'immaginazione degli internati del manicomio di Trieste. Che allora era diretto da Franco Basaglia, ricordato per la 180, l'unica legge quadro sulla psichiatria, grazie alla quale nel '78 i manicomi vennero chiusi e istituiti i servizi di igiene mentale, delegati alle Regioni con alterni risultati. Quell'elegante, spettacolare "macchina teatrale", già simbolo della rivendicazione del diritto a libertà, salute, dignità, torna in auge a 40 anni dalla sua creazione per ribadire le stesse legittime, inascoltate richieste e denunciare la mancata chiusura dei "manicomi criminali" nonostante una legge ad hoc del 2012 e un'altra del 2014.
La triestina Erika Rossi (1974, già vincitrice nel 2012 del Trieste Film Festival con Trieste racconta Basaglia) e Giuseppe Tedeschi (Merano, 1976), illuminano un tema a margini dell'agenda politica, per ricordare, soprattutto a studenti universitari e a operatori del settore che non hanno vissuto la stagione della 180, il lungo cammino verso la richiesta di soluzioni alternative a ricovero coatto e terapia obbligatoria. Una battaglia che, come si ricorda a più riprese, non riguarda solo gli internati, ma la società tutta. Lo fanno mettendosi a servizio di Peppe Dell'Acqua, già direttore dei servizi psichiatrici di Trieste e testimone diretto della rivoluzione basagliana. Il film documenta infatti per lo più i suoi interventi lungo le tappe della campagna Stop OPG, insieme a quelli di altri professionisti del settore. Colpiscono le poche, misurate osservazioni degli ospiti di queste strutture, tra disagio e consapevolezza di un limbo illegale, legato a una vetusta concezione repressiva della malattia.
La macchina da presa non indugia sulla sofferenza degli internati (secondo i dati di novembre 2014 sono 756); l'idea più originale è riprendere in modo diverso ogni ingresso della scultura in ciascuna delle sei strutture: Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Aversa (Caserta), Napoli Secondigliano, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino (Firenze), Castiglione Delle Stiviere (Mantova). In tal modo, tra imbarazzi, intoppi logistici, silenzi, il cavallo azzurro, come un'icona di Kandinskij, diventa un personaggio, un'entità che riassume le istanze di decenni di psichiatria, la silenziosa esclusione dei malati.
È il trionfo dello spirito sulla norma, della spinta utopistica sulla fissità dell'istituzione, l'emblema di modalità di partecipazione collettiva legate agli anni '70. La sua stessa esistenza e resistenza nel tempo dimostrano che richieste della società e senso di responsabilità politica viaggiano a due velocità differenti. Ma con buona sintesi il documentario afferma anche che, nonostante ciò, i cavalli azzurri non si possono fermare.

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