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Non ho l’arma che uccide il leone di Peppe Dell'Acqua con IL PICCOLO di Trieste




 












dal 10 ottobre 2014 in edicola

con

IL PICCOLO di Trieste

 

Peppe Dell’Acqua
Non ho l’arma che uccide il leone
Introduzione di Pier Aldo Rovatti
 

COMUNICATO STAMPA


GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE
 

NON HO L’ARMA CHE UCCIDE IL LEONE
A Trieste l’anteprima nazionale della presentazione/spettacolo
del libro di Peppe Dell’Acqua, con Massimo Cirri e molti ospiti.

Dell’Acqua: “Una storia da restituire alla Città”

 

«Quando oggi, in un libro dalle pagine bianche come neve rileggo le storie dei matti che dormivano sulla collina di San Giovanni come una volta dormivano i morti sulla collina di Spoon River, ancora oggi io posso sentire il grandioso cuore della voce che li ha svegliati. Per non dover mai più dormire quel sonno»
Kenka Lekovich (prefazione della seconda edizione di Non ho l’arma che uccide il leone).

 

Venerdì 10 ottobre 2014: Giornata mondiale della salute mentale, “dove l’impossibile diventa possibile”. Si legge così in “Non ho l’arma che uccide il leone” il libro scritto da Peppe Dell’Acqua, Premio Nonino 2014, rieditato per la Collana 180 – Archivio critico della salute mentale dalle Edizioni Alphabeta Verlag, che sarà presentato lo stesso venerdì 10 ottobre alle ore 20 a Trieste allo Spazio Villas nel comprensorio di San Giovanni. Il Piccolo sosterrà la diffusione del libro che, sempre a partire da venerdì, sarà in vendita nelle edicole di Trieste, Monfalcone e Gorizia a prezzo di lancio in abbinata al quotidiano.

E il “possibile” vedrà la città raccogliersi, venerdì sera, attorno a questa Storia - che ha fatto di Trieste un punto di riferimento in tutto il mondo nell’ambito della salute mentale – in una serata/evento/spettacolo, presentata da Massimo Cirri, la nota voce del programma Caterpillar di RAI Radio 2. Con lui e l’autore, saranno presenti numerosi esponenti cittadini del mondo politico, istituzionale, culturale, dell’associazionismo e della salute mentale, protagonisti, insieme ad alcuni attori, di una “pazza” idea che li vedrà trasformarsi in inconsueti “lettori per una sera”: Onorevoli e Senatori, la Presidente della Provincia Bassa Poropat, il Sindaco Cosolini, il neo Assessore alla Cultura del Comune di Trieste Tassinari, il Direttore de Il Rossetti Però, i quattro Direttori dei DSM della nostra regione, fino ai Presidenti triestini dei Giovani di Confindustria Cividin e Confcommercio Gelfi, solo per citare alcuni degli oltre trenta lettori della serata. Tutti insieme, per ricordare, a distanza di quarant’anni dall’apertura dell’allora Ospedale Psichiatrico, che quella di San Giovanni è una storia che appartiene di fatto a tutta la Città.


Non ho l’arma che uccide il leone è un libro testimonianza che raccoglie, come dice lo stesso sottotitolo “La vera storia del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni” e che si rivolge non agli specialisti, non ai tecnici, non agli storici, ma a tutti coloro che vogliono sapere e alle giovani generazioni. Pubblicato per la prima volta nel 1980 dall’Editoriale Libraria di Trieste, a poca distanza dall’approvazione della Legge 180, con una seconda edizione nel 2007 a cura di Stampa Alternativa, il libro conserva anche in questa terza edizione una presentazione inedita di Franco Basaglia, i disegni di Ugo Guarino e i contributi di Pier Aldo Rovatti e Franco Rotelli.

Il volume si compone essenzialmente di due parti. Nella prima, a margine dei 22 racconti, un appunto restituisce al lettore emozioni, nostalgie, memorie, riflessioni che vogliono rendere ragione di alcune circostanze in cui quegli eventi sono accaduti. Oltre cento i protagonisti di questa storia, narrata in modi e con spessore diverso, da una posizione completamente soggettiva. La seconda parte si compone di una cronologia, anno per anno (dal 1971 al 1979), necessaria per una più ampia comprensione di tutta la vera storia, che restituisce un passaggio epocale nel quale i triestini sono stati, a vario titolo, protagonisti. Moltissimi giovani in quegli anni, frequentando San Giovanni, furono artefici e sostennero un cambiamento difficilissimo traghettando in città e portando sulle loro spalle “i matti di San Giovanni”.

Il libro è diventato sin da subito un classico della letteratura sul tema tanto da costituire la traccia per un lavoro televisivo realizzato per RAI 3 nel 1981 e poi per la sceneggiatura della fiction “C’era una volta la città dei matti” andata in onda su Rai 1 nel 2010. Vista da otto milioni di telespettatori la fiction aveva come protagonista un Franco Basaglia, interpretato da un mirabile Fabrizio Gifuni, e presentata pochi giorni fa all’ Italia Film Festival di Berlino, dallo stesso attore con Dell’Acqua.

 

«Questa storia vorremmo restituirla, oggi, nelle sue pieghe e nei suoi minimi movimenti alla Città e a tutti quei cittadini che vogliono sapere» - dichiara Aldo Mazza, direttore delle Edizioni Alphabeta Verlag di Merano, che ha scelto proprio dell’Acqua come Direttore della Collana 180 – Archivio critico della salute mentale. Una collana editoriale – giunta, con Non ho l’arma, al nono libro - che muove i suoi primi passi nel 2010 da Trieste per percorrere la vasta rete delle buone pratiche, incontrare la storia del cambiamento delle singole persone, raccontare le straordinarie imprese sociali che si sono sviluppate intorno alla questione psichiatrica.

«Non ho l’arma che uccide il leone racconta la storia di Giovanni, Rosina, Carletto, Nevio e di tanti altri internati, e poi dimessi dal manicomio triestino. Racconta la storia delle loro piccole e grandi rinascite, dell’uscita dall’anonimato, della liberazione, dell’emancipazione. Ho avuto la fortuna di partecipare a una storia che “ha cambiato il mondo”. Questo libro vuole restituire a chi legge, spero tanti giovani, studenti e operatori, un pezzo di quell’entusiasmo per provare a ricercare insieme il senso di quegli accadimenti» ha racconta l’autore Peppe Dell’Acqua, psichiatra e già direttore per 17 anni del DSM di Trieste.

Ogni storia di questo racconto è lacerazione e vita dentro la lacerazione. Ma è sopratutto la storia della costruzione e dell’invenzione di una “complicità”, dove le persone ritrovano i fili della vita e della memoria. Dove la sola arma per uccidere il leone o quanto meno tramortirlo, è il musiliano "senso della possibilità". Progettare, scegliere, desiderare, emanciparsi, riacquisire un’identità sociale che non sia quella del “malato di mente”. In questa narrazione nessuno recita a soggetto, le storie, si dilatano e si stemperano in un’ appartenenza che rompe i confini, contamina i ruoli, scardina il senso comune e gli automatismi semantici che lo sostengono. Scardina le equazioni con cui continuiamo a parlare di tutto questo.










 

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